DIARIO DI UNA PRIMAVERA – 3
18 marzo: lavaggio dei piedi
Oggi mi sono dedicata ai miei piedi. Credo che l’ultima volta in cui ho donato un pediluvio ai miei piedi risale a due estati fa, quando le vesciche mi obbligavano a frequenti bagni freddi.
Oggi mi sono dedicata ai miei piedi. Credo che l’ultima volta in cui ho donato un pediluvio ai miei piedi risale a due estati fa, quando le vesciche mi obbligavano a frequenti bagni freddi.
Oggi invece l’acqua era calda, profumata, schiumosa. Oggi i miei piedi hanno provato piacere. Si sono lasciati toccare, coccolare, strofinare. Ho passato le mie mani tra le loro dita, ho massaggiato le piante con movimenti circolari, ho loro rivolto una parola d’amore: «vi sottovaluto troppo, e invece dovrei dedicarvi molte più attenzioni. Siete le fondamenta del mio appoggio al suolo. Ed è importante averne sempre coscienza».
22 marzo: il croissant della domenica.
Questa mattina ho avuto il primo cedimento. Eppure, occorre tenere e organizzare la giornata.
Con oggi siamo a una settimana di isolamento restrittivo. Da una settimana non vado più a scuola, non vado più al lavoro, non prendo alcun mezzo pubblico. Da una settimana le mie giornate sono quasi interamente dedicate alla scrittura, al miglioramento del mio sito internet, al lancio dell’annesso profilo Instagram, all’avvio di nuovi progetti.
Ma oggi è domenica. Ed inizio a prendere coscienza del rischio di questa quarantena, della trappola che si nasconde dietro a questo dono di tempo che possiamo riempire qualitativamente.
Prima la domenica era il giorno in cui la città rallentava. E anche se spesso capitava che di domenica fossi di turno al negozio di cioccolato, i ritmi erano comunque diversi, più lenti, più pigri. Meno traffico per strada, vie più silenziose, nessun affollamento sui trasporti pubblici, i primi clienti a mezzogiorno. Il giorno dopo, lunedì, la città si sarebbe risvegliata in ingorghi, colpi di clacson, grida.
Oggi è domenica e il ritmo è praticamente lo stesso di ieri e dell’altro ieri. E questa presa di coscienza mi scombussola. I giorni sono ora tutti uguali. Mercoledì, sabato, lunedì, giovedì, martedì, domenica, venerdì, l’ordine non fa differenza: il ritmo della città non cambia. E il mio da una settimana è costante 7 giorni su 7.
Eppure oggi è domenica e voglio segnare una differenza dagli altri giorni. Lo devo fare, è importante per tenere e organizzare lo scorrere dei giorni, per dare un senso al tempo che passa, per fermarlo, per farlo mio. Per averne coscienza. Perché se è vero che questo periodo mi permette di appropriarmi del tempo in modo qualitativo, il rischio è di perderne la concezione quantitativa che vede un giorno susseguirsi all’altro, una settimana inseguirne un’altra.
E così decido che il marchio della domenica sarà il croissant.
Mi vesto, compilo una veloce attestazione di déplacement (la boulangerie è a solo 200m da casa mia ma non si sa mai), esco.
Ora in boulangerie si entra uno alla volta. Attendo il mio turno. Entro, pago, ringrazio, mi incammino verso casa.
Il croissant è ancora caldo. Oggi è domenica.