DIARIO DI UNA PRIMAVERA – 9
25/05/2020: Una liberazione in quarantena
Questa sera un orgoglio nazionale mi prende. Su France 5 il telegiornale mostra immagini di bandiere tricolori verde, bianche, rosse: volti di italiani confinati ciascuno sul proprio balcone cantano all’unisono “Bella ciao”.
È il 25 aprile, sul calendario italiano data evidenziata come festa nazionale di commemorazione della liberazione dal regime fascita. Liberazione da una dominazione, libertà da una ideologia che condannava qualsiasi opinione differente.
E lontana 1000 km da casa penso che sarebbe stato bello se questo 25 aprile il governo ci avesse ridonato almeno una minima libertà di spostamento. Ma poi mi dico che no, è giusto che il 25 aprile rimanga la data di una memoria storica. Certo, che però fa riflettere: festeggiare la giornata dedicata alla liberazione e alla libertà, confinati, controllati negli spostamenti, in un clima poliziesco e quasi di delazione reciproca.
26/04/2020: I primi cenni di riapertura.
Oggi il ristorante bistronomico sotto casa ha riaperto i battenti. O meglio, ha riacceso i fornelli. Per far fronte alla crisi del settore il proprietario ha deciso di darsi alla vendita emporter. Non è il primo a reinventarsi, il café accanto e la brasserie all’angolo offrono il servizio d’asporto già dalla settimana scorsa.
Segno che il fronte interno resiste e collabora al mantenimento morale della gente. È pur sempre un atto di resistenza. Come il mio progetto.
Il confinamento ormai prosegue da sei settimane, la gente comincia ad essere stufa delle code al supermercato, delle procedure di igiene e di distanza sociale, di mangiare le medesime cose, di fare ogni giorno la cucina e annesso lavaggio della stoviglie. Riscopre così il gusto del cibo preparato con amore da qualcuno che lo fa di mestiere, una coccola di piacere che risolleva l’umore.
30/04/2020: Un puzzle di ricordi turchi
Che voglia di puzzle! Oggi chiacchierando via Skype con Enrico, mi racconta che in questo periodo fare puzzle lo rasserena. Mette della musica rilassante come sottofondo e si concentra.
Io, l’ultimo puzzle che ho fatto, l’avevo comperato a Izmir durante il mio soggiorno presso una famiglia turca. Avevo 17 anni. Il clima umido, l’aria appiccicosa, solo qualche ventilatore nel salone, faceva talmente caldo che le ore tra le 11 e le 16 non passavano mai e si sudava a fare il minimo movimento. Mi ero allora decisa a comperare un puzzle per riempire quel tempo pigro e ozioso. Una bellissima donna, moglie di un sultano. Ogni giorno impiegavo le ore più calde della giornata alla ricerca del prossimo tassello per completare un dito, un occhio, una piega del velo. Per nulla facile, considerate le leggere sfumature di colore. Eppure che soddisfazione una volta terminato!
Per trasportarlo in Italia ho dovuto ovviamente disfarlo, e una volta a casa il gioco di pazienza è coì ricominciato. Ma ahimé, due tasselli erano andati perduti chissà dove (probabilmente nascosti sotto uno dei tanti tappetti di quel salone turco). Li ho così riprodotti a mano. La difficoltà maggiore ancora una volta è stata data dalle sfumature di colore che andavano dal verde al grigio, al blu passando per il violetto. Infime sfumature contenute in un medesimo tassello dalla grandezza di un cm quadrato.
La moglie del sultano dimora ora nella taverna di casa mia. Incorniciata e posizionata nell’angolo più remoto da cui però il controllo sulla sala è totale, nulla fugge al suo sguardo intrigante e attento. E mi chiedo che ne è del Coronavirus in Turchia.